Un capitolo a sé merita invece il discorso legato all’housing First, concetto molto caro all’Associazione che cerca di realizzare dal 2021. In collaborazione con Fondazione Opera San Martino, Cooperativa La Rete, Cooperativa di Bessimo, Associazione Amici del Calabrone e Comune di Brescia, Associazione San Vincenzo cerca di attuare, tramite il lavoro con una persona inserita in uno degli appartamenti dell’Associazione, i principi dell’housing First.

Housing First è l’innovazione più importante degli ultimi 30 anni nella strutturazione di servizi per persone senza dimora. Il modello nasce negli USA, ma ad oggi moltissimi sono i progetti anche in Italia ed Europa consultabili e verificabili tramite il sito web di Fio.PSD (Federazione Italiana Organizzazioni Persone Senza Dimora).

Le statistiche evidenziano che l’housing First pone fine all’homelessness in almeno 8 casi su 10.

Gli 8 principi fondanti vogliono essere la base anche di questo nuovo progetto per alcune delle donne conosciute dall’equipe di Casa Ozanam:

1. Abitare è un diritto umano

L’abitazione è fornita senza alcuna forzatura. La persona senza dimora non deve comportarsi in un modo predeterminato, come seguire un particolare trattamento o astenersi dal consumo di stupefacenti o alcool prima che sia data loro la casa. La persona non deve quindi guadagnarsi il diritto all’abitare.

2. I partecipanti hanno diritto di scelta e controllo

I beneficiari devono essere ascoltati e le loro opinioni rispettate. Le persone sono in grado di effettuare scelte reali sul modo in cui intendono vivere la propria vita e sul tipo di sostegno da ricevere (i bisogni di ogni persona sono differenti e quindi i servizi non possono essere un pacchetto standard).

3. Distinzione tra abitare e trattamento terapeutico

Il diritto all’abitare non è condizionato al fatto che le persone si impegnino a priori ad un percorso di recupero per poter ottenere la casa.

4. Orientamento al Recovery

Sta per “(ri)scoperta” del senso della vita con la prospettiva di una vita migliore e più sicura. Questo non significa non avere più problemi o difficoltà; è un percorso fatto di prove e di errori, di piccoli passi avanti ed indietro. È un processo flessibile per la ricerca di una vita migliore.

5. Riduzione del danno

Il progetto non mira al necessario superamento del consumo di stupefacenti o alcool, perché purtroppo l’imposizione da parte delle comunità terapeutiche spesso non funziona. Lo scopo principale, dunque, non è la cessazione immediata del consumo, bensì aiutare la persona a gestirne meglio l’uso, incentivando una graduale diminuzione.

6. Coinvolgimento attivo e non coercitivo

E’ necessario coinvolgere le persone in modo positivo, permettendo loro di credere che un recupero è possibile.

7. Progettazione centrata sulla persona

Deve essere calibrato sulla persona e sui suoi bisogni. La persona deve essere il centro di tutte le decisioni che possono cambiare la sua vita.

8. Supporto flessibile, per tutto il tempo necessario

L’intensità del supporto può aumentare o diminuire, in linea ai bisogni della persona; il progetto può rispondere positivamente quando una persona chiede di “più” o, se la richiesta diminuisce, provare a sostenerlo organizzandosi giorno per giorno. Elemento cruciale del mettere a disposizione servizi flessibili significa provvedere all’accompagnamento per tutto il tempo necessario.

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